UNSEEN é Una traiettoria drammaturgica del suo ritrattismo, virata nei margini densi del nero cosmico, verso una dimensione dell’animo sospeso, della crisi spirituale di un nuovo millennio, dove il nero implica vertigini emotive ma anche la necessità di una luce, di un’accensione morale che faccia vibrare lo sguardo dei suoi protagonisti.

Matteo Basilé agisce dentro il margine astronomico di un buio abissale, un nero che è figlio di antiche drammaturgie, pulsante come i fondali mefistofelici di certa pittura olandese (seicentesca ma anche recente, basti pensare a quel clima omogeneo che va da Rembrandt alle foto di Erwin Olaf). Basilé ha il centro prospettico nel volto: qui risiede il punto di fuga del suo paesaggio umano ad alto valore (meta)storico, qui matura un ritratto che nasce dalla partenogenesi del nero e che al nero della morte torna, come diapason impassibile e catartico… nero del Barocco, nero catacombale, nero caravaggesco, nero modulato di Francesco Lo Savio, nero di “ex film” e Polaroid firmate Mario Schifano, nero postpop di Franco Angeli…

UNSEEN è anche un radicale omaggio a Roma, alla sua storia di catacombe e Barocco, papi e imperatori, morti e tramonti infuocati, bellezza e crudeltà. Perché Roma ha moltissimo nero dentro Il suo corso secolare, un nero che è sintesi di rosso sangue e misteri notturni, intrighi e malvagità, nero che unisce il potere con la potenza, la carne con il misticismo… Roma sacra e profana, città che resta metaluogo nei secoli, corpo (quasi) immobile ma dal metabolismo furioso e inquieto… una Roma dove Matteo è cresciuto, dove è maturato il suo sguardo, la sua cognizione del dolore e della rinascita virtuosa. Qui nel nero si formula un nuovo volto: eterno e in continua evoluzione, Immagine che assorbe la responsabilità degli immaginari, ritratto oltre un solo tempo e un dato spazio… il ritratto rinasce dal vero per aspirare all’impronta universale.

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